Una storia vecchia: la popolazione avanza, il cibo manca
Tra i primi a far suonare il campanello d’allarme relativo alla sostenibilità dello sviluppo avviato con la rivoluzione industriale ritroviamo alcuni economisti.
Nel 1798 Thomas Malthus pubblicava, anonimo, il “Saggio sul principio di popolazione”, le cui argomentazioni e soprattutto le cui conclusioni contraddicevano l’imperante ottimismo circa il futuro della società.
Il pessimismo malthusiano[1] esprime la preoccupazione secondo la quale la crescita della popolazione tende a superare i mezzi di sussistenza in relazione ad una asimmetria che coinvolge la crescita in progressione geometrica della popolazione (1, 2, 4, 8, 16, 32…) e la crescita in progressione aritmetica (1, 2, 3, 4, 5, 6…) dei mezzi di sussistenza.
Questa formula, che ebbe il merito di rendere popolare le teorie malthusiane, è a sua volta correlata all’elemento cardine del “Saggio sul principio di popolazione” rappresentato dal concetto dei “rendimenti marginali decrescenti del lavoro”, innestato sul fenomeno della quantità fissa della terra coltivabile, secondo cui, raddoppiando l’investimento, ad esempio il numero dei lavoratori, sulla stessa quantità di terra, non si ottiene il raddoppio della produzione.
Dal combinato disposto di asimmetria tra la progressioni geometrica ed aritmetica di popolazione e mezzi di sussistenza da un lato e di rendimenti marginali decrescenti dall’altro , Malthus delineava il quadro di un mondo in cui la crescita della popolazione avrebbe necessariamente e meccanicamente comportato una drastica riduzione della produzione alimentare pro-capite e di conseguenza la riduzione della popolazione stessa in condizioni di assoluta miseria e di estremo disagio, in un mondo caratterizzato da fame e malattie che a loro volta avrebbero riportato la dinamica demografica sotto controllo.
Le previsioni malthusiane sono state smentite grazie allo sviluppo del controllo sulle nascite e soprattutto dalle innovazioni tecnologiche in ambito di produzione alimentare. L’aver evitato la catastrofe non attenua l’importanza della sua opera e del suo monito rispetto ai limiti dello sviluppo e dell’azione economica, monito sul quale altri economisti, operanti in contesti scientifici evoluti, continuano a richiamarsi.
[1]La definizione di economia come “scienza triste” è ispirata proprio dall’opera di Malthus.