Oltre l’economia circolare: dallo scarto alla eccedenza

In ambito ecologico-ambientale le pratiche dell’economia circolare sono concentrate sugli “scarti”.

Oltre agli scarti è però necessario estendere il paradigma[1] della “circolarità sistemica”, che sottende il singolo modello dell’economia circolare, all’ambito finanziario e a quello sociale, ambiti in cui si determinano eccedenze, vale a dire ricchezze non utilizzate.

Il ciclo finanziario della moneta, quello che si avvia con la richiesta di moneta da parte dell’impresa ad una banca, termina con la sua restituzione e la conseguente circolare riattivazione della sua disponibilità per nuove iniziative, non sempre esaurisce a livello globale il totale degli investimenti disponibili. In questo modo si determina una eccedenza che inevitabilmente si trasforma in speculazione.

Un approccio circolare sistemico a livello finanziario è teso a favorire la circolazione della moneta, ad assorbirne l’eccedenza e ad incanalarla verso la produzione di beni e servizi caratterizzati da utilità sociale.

In ambito sociale di grande rilevanza è l’impatto delle “eccedenze” all’interno del mercato del lavoro: ogni crisi economica e finanziaria, infatti, determina l’incremento del numero dei disoccupati disponibili all’impiego.

In questo caso l’intervento a vocazione circolare deve essere finalizzato non solo al semplice reimpiego, ma alla allocazione dei disoccupati, “inutili” in imprese tradizionali, nei nuovi impieghi dell’economia orientata alla produzione di beni utili sotto il profilo sociale e ambientale.

Le applicazioni in ambito ambientale (obiettivo di un sistema di produzione autorigenerante), finanziario (obiettivo di piena circolazione della moneta), e sociale (obiettivo: allocazione dei disoccupati disponibili verso nuove iniziative di carattere ecologico), chiariscono la complessità del paradigma della circolarità sistemica.

Ecco: la complessità[2] è probabilmente la differenza sostanziale che intercorre   tra l’approccio circolare e la teoria della “decrescita” così come definita dall’economista Serge Latouche.

Caratterizzata da una forte componente ideologica, la teoria della decrescita individua come bersaglio della sua critica lo sviluppo economico, colto nella sua duplice veste di fondamento e di effetto dell’accumulazione capitalistica e descritto come fenomeno caratterizzato dall’assenza di ogni limite.

L’impostazione di base è radicale: tutti gli approcci orientati alla revisione dei processi di sviluppo nei termini di sviluppo durevole o sviluppo sostenibile sono definiti “bricolage concettuali” che puntano “a cambiare le parole visto che non si vogliono cambiare le cose”[3].

Richiamandosi ai contributi della bioeconomia di Georgescu Roegen, e alla sua caratterizzazione del processo economico come processo entropico, Latouche definisce la decrescita, la riduzione di produzione economica e consumi, un fenomeno “ineluttabile”.

Posta al di fuori dell’economia di mercato, vale a dire dall’ambiente dove prospera lo sviluppismo, la decrescita viene qualificata come “felice” in quanto “non impone alcuna limitazione alla spesa dei sentimenti né alla produzione di una vita festosa, o anche dionisiaca”[4].

La radicalità della critica di Latouche allo sviluppismo è efficace e condivisibile sotto molti punti di vista. Di contro un elemento di criticità è rappresentato dall’identificazione delle fasi e delle azioni per la realizzazione della riduzione di produzione e consumi e delle modalità di accesso alla vita festosa e dionisiaca.

Questo basta a molti avversari della decrescita per definirla una teoria utopica e semplicistica sminuendone, ingiustamente, la portata paradossale/provocatoria in grado di scuotere la coscienza di chi le si avvicina.


[1]. Oltre il singolo modello, o l’insieme di più modelli tra di loro coerenti, il paradigma è il modo di vedere e interpretare la realtà: qualcosa di molto affine ad una visione del mondo.

[2]. La complessità dell’approccio circolare sistemico è connessa al suo mantenersi all’interno dell’economia di mercato.

[3]. Serge Latouche, Come sopravvivere allo sviluppo, Bollati Boringhieri 2005.

[4] Serge Latouche, opera citata

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