Motivazioni di una inflazione non strutturale

Oggi è il 10 giugno.  E’ appena giunta la notizia che negli Stati Uniti i prezzi sono aumentati dello 0,6% rispetto ad aprile e del 5% rispetto ai dodici mesi precedenti: l’inflazione americana compie il salto più rilevante dall’agosto del 2008.

Siamo in presenza di due opposti schieramenti: da una parte, coloro che con preoccupazione osservano la crescita dell’inflazione, ne delineano la valenza strutturale, e prefigurano interventi di politica monetaria restrittiva; dall’altra, coloro che ritengono l’aumento dei prezzi null’altro che una “fiammata”, riconducibile a motivazioni di natura congiunturale, riassorbile in tempi brevi.

“ Le banche centrali dovrebbero inasprire la politica monetaria perché il prezzo della carta igienica è improvvisamente aumentato ? ”

La domanda retorica posta da Paul Donovan, capo economista di UBS Wealth Management, chiarifica in quale dei due schieramenti l’economista britannico si pone.  Nonostante il fronte di coloro che non credono ad una ripresa dell’inflazione in termini strutturali sia molto ampio, è raro cogliere analisi che espongano le motivazioni di fondo di questa posizione.

In controtendenza rispetto a questa scarsità di analisi è l’articolo, pubblicato da Fondi&Sicav dell’editore Giuseppe Maria Riccardi, redatto da Ariel Bezalel e Harry Richards rispettivamente strategist e fund manager di Jupiter AM*.

L’oggetto dell’analisi di Bezalel e Richards è proprio l’inflazione strutturale, quindi un’analisi concentrata, non sulle fluttuazioni di breve dell’inflazione, ma su tendenze di lungo termine.

Secondo i due autori quattro sono i fattori la cui azione combinata determinerebbe il contenimento dell’inflazione a livelllo globale. Vediamoli insieme.

  1. Il “peso” del debito.

L’universo mondo è gravato da una montagna di debiti:  280.000 miliardi, pari a più di tre volte il PIL globale che ammonta a 87.500 miliardi.

Descrivendo i rapporti debito pubblico/PIL  espressi dalle maggiori economie, dove il miglior dato è fornito dal 130%espresso dagli Stati Uniti, e considerando che un rapporto debito pubblico/PIL  già a quota 60% ha un effetto negativo sulla crescita, i due autori definiscono il ruolo del Debito come freno alla spinta inflazionistica.

  1. La “lentezza” del denaro.

Il mare di liquidità, che le Banche Centrali hanno profuso e profondono nell’economie mondiali, è generalmente interpretato come una delle cause scatenanti dell’inflazione.

L’analisi di Bezalel e Richards sposta l’attenzione dalla massa monetaria – spiegata con il ricorso delle aziende alle strutture bancarie “per rimanere solvibili” – alla velocità del denaro, vale a dire alla frequenza con cui il denaro è speso in un periodo di tempo dato.

E’ evidente che un’alta velocità del denaro è i sintomo di un’economia in espansione e quindi esposta al rischio inflazione. La constatazione di una mediocre velocità del denaro, causata dal peso del debito, conduce gli autori a vedere, secondo i dettami espressi nel 1932 dal grande economista Irving Fisher, un ulteriore elemento di contenimento dell’inflazione.

  1. Il cambiamento demografico: diventiamo vecchi.

L’invecchiamento della popolazione è un fatto noto. Meno noto è come possegga una valenza propriamente deflazionistica.

La popolazione degli Stati Uniti che invecchia di un mese all’anno, la rilevazione cinese della riduzione, per la prima volta dal 1949, della sua popolazione e la proiezione della riduzione del 50% della sua popolazione entro il 2070, sono esempi concreti di come i cambiamenti demografici assumano un ruolo antiinflazionistico in relazione all’automatico abbassamento dei consumi: quando le persone superano i 70 anni, la loro spesa quasi si dimezza.

  1. La contenuta crescita dei salari

Secondo i due autori l’incontenibile avanzata delle nuove tecnologie da un lato e la ridotta forza dei sindacati, unitamente al rafforzamento dell’influenza di una ristretto numero di monopoli globali dall’altro, agiscono e agiranno in termini di contenimento della crescita dei salari. Poiché l’inflazione assume una valenza strutturale, quando ingloba l’inflazione dei salari in crescita, risulta evidente che una crescita contenuta dei salari determina un contenimento dell’inflazione.

 

I fattori evidenziati da Bezalel e Richards sono di matrice strutturale. Oltre alla mancata trasformazione di un’inflazione da surriscaldamento congiunturale in una inflazione strutturale, essi indicano l’azione, all’interno del sistema economico, di potenti forze deflazionistiche, la prima delle quali è rappresentata dal debito globale. Non possiamo non notare che parlare di deflazione significa gettare un’ombra, al di là della ripresa attuale, sulla pienezza della crescita globale.

*Jupiter è una società di investimento quotata presso la Borsa di Londra ed è inclusa nell’Indice FTSE 250, l’indice di capitalizzazione della Borsa Londinese comprendente dalla 101ª fino alla 350ª più grandi imprese.


Per chi fosse interessato ad un ulteriore approfondimento sul tema, di seguito il link all’articolo di Fondi&Sica redatto da Ariel Bezalel e Harry Richards.